SVIMEZ, il non sistema Mezzogiorno, periferia dell'Europa.
presentato il Rapporto 2008 - 21/07/08

Un Mezzogiorno che non riesce a tenere il lento passo dell'economia settentrionale, e che da sei anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord. Un'area periferica, un non-sistema infrastrutturale socialmente statico, dove cresce il rischio di povertà e dove i disoccupati scompaiono dalle statistiche: questa la fotografia che emerge dal Rapporto sull'economia del Mezzogiorno 2008 presentato a Roma oggi, 18 luglio.

Nel 2007 il Sud è cresciuto dello 0,7%, un punto di meno rispetto al Centro-Nord e in calo di 0,4 punti percentuali rispetto allo scorso anno. Il PIL per abitante è pari a 17.482 euro, il 57,5% del Centro-Nord (30.380 euro), da cui lo separa una differenza di oltre 42 punti percentuali, pari a circa 13mila euro. In termini di crescita, tutte le regioni registrano segni positivi, tranne la Calabria. In testa alle regioni del Mezzogiorno la Puglia (2%), seguita da Molise (+1,7%), Basilicata (+1,5%) e Sardegna (+1,3%). Quasi ferme Campania (+0,5%) e Sicilia (+0,1%). A livello settoriale si registra nell'area una tenuta del sistema industriale, cui corrisponde però un forte rallentamento dei servizi: tra il 2001 e il 2007 il settore nel Mezzogiorno è cresciuto dello 0,8% contro l'1,7% dell'altra ripartizione; anche nel 2007 ha registrato una crescita pari a un quarto di quella del Centro-Nord.

Due le cause principali del fenomeno: investimenti che rallentano, famiglie che non consumano. Rilevante infatti il rallentamento degli investimenti fissi lordi dell'area (che hanno fatto segnare nel 2007 un timido +0,5% a fronte del + 2,4% dell'anno precedente), che testimonia il peggioramento del clima di fiducia delle imprese. Sulla stessa linea la spesa delle famiglie meridionali, ferma al +0,8%, circa la metà di quella del Centro-Nord (+1,5%). Da sette anni la dinamica dei consumi interni è poco più che stagnante (+0,5%), a conferma delle difficoltà delle famiglie meridionali a sostenere il livello di spesa.

Il Mezzogiorno cresce meno delle altre deboli dell'UE

Il quadro diventa sconsolante se confrontato con le dinamiche economiche degli altri paesi europei. Dal 2000 al 2007 il tasso di crescita dell'economia meridionale è stato del 2%, un dato molto lontano da quello spagnolo (+4,9%), irlandese (+5,5%) e greco (+6,2%). In questi paesi sono state proprio le aree deboli, per molti anni ai margini delle direttrici economiche europee, a rilanciare i processi di crescita interni, come ha dimostrato il sorpasso spagnolo.

Occupazione a crescita zero; continua la scomparsa dei disoccupati; il tasso reale sarebbe oltre il 28%

Come negli scorsi anni, continua il calo dei disoccupati: meno 66mila al Centro-Nord e ben meno 101mila al Sud, con una flessione rispetto all'anno precedente rispettivamente dell'8,6% e addirittura dell'11,2%. Ma non tutti i disoccupati hanno trovato un nuovo lavoro. Nel 2007 infatti il Mezzogiorno ha registrato un'occupazione a crescita zero, a fronte di un aumento dell'1,4% al Centro-Nord (+234mila in valori assoluti). Molto positivi i risultati di Puglia (+2,2%) e Molise (+2,5%), più modesti quelli di Abruzzo (+0,8%) e Sardegna (+0,9%) mentre la Calabria segna una forte flessione (-2%). Ma dove sono finiti i 101mila disoccupati meridionali? Una quota consistente ha smesso di cercare un'occupazione. In Campania, ad esempio, nel 2007 i disoccupati sono scesi di oltre 38mila unità, e i nuovi occupati a loro volta sono scesi di 11mila unità. Situazione simile in Calabria (crollo della disoccupazione del 16% - meno 14.600 disoccupati, ma calo degli occupati di oltre 12mila unità), Sicilia (-13mila disoccupati e meno 14mila occupati) e Basilicata, dove i valori si annullano a vicenda (meno 2mila occupati e disoccupati). In altri termini, negli ultimi sei anni al Sud i disoccupati sono scesi di 635mila unità: 285mila hanno trovato un lavoro, 350mila sono “scomparsi”: non cercano né trovano lavoro. Nel 2007 dunque al Sud gli inoccupati sono aumentati di 147mila unità (+248mila disoccupati impliciti – 109mila disoccupati espliciti). Aggiungendo ai disoccupati ufficiali quelli impliciti il tasso di disoccupazione reale al Sud nel 2007 dall'11% attuale più che raddoppierebbe (28%), a fronte del 6,9% del Centro-Nord. Spina nel fianco il sommerso, che riguarda al Sud circa 1 lavoratore su 5 (19,2%), a fronte del 9,1% dell'altra ripartizione. Nel 2007 i lavoratori irregolari al Sud sono scesi di 66mila unità (-4,8%), arrivando a quota 1 milione 304mila. Agricoltura, commercio e servizi i settori dove si concentrano i lavoratori al nero. Da segnalare la forte presenza di sommerso al Sud nel settore industriale (11,6% contro 1,8% del Centro-Nord), segno delle forti difficoltà delle PMI meridionali. Maglia nera alla Calabria, che nel 2007 registra 2,6 lavoratori irregolari su 10.

Famiglie e laureati a rischio povertà

Rispetto al 28% del Centro-Nord, più della metà delle famiglie monoreddito al Sud risulta esposto al rischio di povertà. Nel 2005 il 18% delle famiglie meridionali ha percepito meno di 1.000 euro al mese e il 20% circa ha guadagnato tra 1.000 e 1.500 euro mensili. Con differenze da regione e regione: nel 2005 più di una famiglia su 5 in Sicilia ha guadagnato meno di 1.000 euro al mese e nelle altre regioni la percentuale varia dal 19 al 17%. Inoltre quasi 14 famiglie su 100 al Sud hanno più di tre persone a carico (4,1% al Centro-Nord), con punte del 18% in Campania.Vi sono famiglie in cui non ci si può permettere un pasto adeguato almeno tre volte a settimana (10% sul totale meridionale), né riscaldare adeguatamente l'abitazione (20%) o comprare vestiti necessari (28%). Quasi il 20% delle famiglie meridionali nel 2005 ha avuto periodi in cui non poteva acquistare medicinali. Vasca e doccia in casa mancano ancora al 2% delle famiglie pugliesi, all'1,5 di quelle calabresi e all'1,4% delle siciliane. Neanche raggiungere un buon livello di istruzione tutela dall'esposizione al rischio povertà: si trova in questa situazione il 9,4% dei laureati residenti al Sud.

Mezzogiorno troppo poco competitivo

In base a tre indicatori individuati dalla SVIMEZ (benessere economico, situazione di partecipazione ed equilibrio del mercato del lavoro, livello di sviluppo delle risorse umane e della ricerca scientifica) è stato costruito un indice di competitività che conferma in modo evidente la debolezza del Mezzogiorno. Sicilia, Puglia, Campania e Calabria registrano i più bassi tassi di occupazione femminile in Europa (sotto il 30%), distanti di quasi 10 punti dalle regioni più arretrate della Grecia e della Spagna e di quasi 20 dall'est Europa. Sul fronte della ricerca pesa la scarsità di laureati nelle discipline scientifiche: (dal 10,4% di laureati sulla popolazione adulta in Sardegna ai 10,8% della Sicilia. Per trovare in Europa il successivo valore più basso dovremo andare in Extremadura, Spagna, con il 21%. Non va meglio neanche riguardo alla spesa per ricerca e sviluppo in percentuale del PIL: rispetto a un valore medio Ue dell'1,8%, a parte l'1,2% della Campania tutte le regioni meridionali sono sotto il punto percentuale, fino allo 0,4% del PIL della Calabria.

Infrastrutture

Fatto pari a 100 il valore Italia, riguardo alla dotazione di autostrade il Sud è fermo al 78,6%, con livelli particolarmente bassi per Molise (37,4) e Basilicata (13,4), fino ad arrivare alla Sardegna, totalmente priva di autostrade. Non va meglio sul fronte delle ferrovie: il 42% delle linee presenti nell'area non sono elettrificate. Sottodotate anche le linee di trasmissione elettrica e del gas (67,3% dell'Italia), che raggiungono percentuali ancora più basse in Basilicata (49,2%), Molise (37,4) e Sardegna (32,2). Fa eccezione la Campania, che registra il 123,1%. L'indice sintetico di dotazione di reti idriche ferma il Sud al 65,6%, la metà circa del Centro-Nord (135,2). Nel Mezzogiorno inoltre il 37% dell'acqua immessa in rete viene perso, con percentuali particolarmente elevate in Sardegna (43,2%) e Puglia (46,3%). Molise e Basilicata sono totalmente prive di aeroporti; tutti gli aeroporti meridionali hanno collegamenti stradali, ma mancano quelli ferroviari. Particolarmente carente la presenza di strutture intermodali (37,8%) e di magazzini all'interno dei porti, ancora troppo piccoli e orientati soprattutto al traffico passeggeri. Scarsissima la capacità di movimentazione dei mezzi per il trasporto merci, che dota il Sud di un indice pari a un centesimo della media nazionale. Unica eccezione in questo panorama, il porto industriale di Gioia Tauro, che è tornato a essere il porto di transhipment leader nel Mediterraneo, con 3,5 milioni di TEU di traffico e una crescita del 19,1% rispetto al 2006.

 

 

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