Liverpool dai Beatles a capitale culturale d'Europa 2008
si celebra quest'anno l'ascesa di una città che ha fatto della cultura un modello di sviluppo - 04-06-08

Liverpool oggi è sinonimo di cultura. L'assegnazione del titolo di capitale europea proprio in tema culturale è il giusto riconoscimento agli sforzi compiuti a più riprese nell'ultimo mezzo secolo per rinascere dalla guerra, prima, e assumere i connotati di un modello di sviluppo fondato sulla cultura, poi.

Mezzo secolo caratterizzato da un ambiente portuale che ha conosciuto anche la decadenza degli anni '70, scandito dai flussi di fumo delle ciminiere, non solo delle navi mercantili ma anche delle fabbriche. Sono immagini queste che, accostate ad una crisi che dagli anni '50 fino ai primi '80 attanagliò Liverpool fino a al triste censimento di circa 450mila abitanti, possono dare l'idea della classica “grigia” realtà industriale, dove l'aridità non lascia spazio alla vitalità.

Le difficoltà economiche, la caduta quasi libera, tutto vero, ma quasi parallelamente a questo negativo e al tempo apparentemente interminabile trend, a partire dagli anni '60 Liverpool trovò nella cultura la sola forza capace di opporre resistenza, di alimentare la speranza, di mantenere intatte le fondamenta, contro quella che appariva come un'inesorabile fine.

Liverpool è ancora un importante snodo commerciale, e ci mancherebbe vista la strategica posizione, l'impresa industriale è attiva dall'agroalimentare all'automobile e la periferia ospita perfino raffinerie di petrolio, ma l'impressione è che la città voglia quasi affrancarsi da quell'ipotetico “grigiore” che accomuna diverse realtà industriali e postindustriali e rifondare la propria identità sulla cultura. Un vero e proprio modello, innovativo, una sfida.

Un filo conduttore segna la rinascita di Liverpool dagli anni sessanta ad oggi, quando il solo turismo culturale ha già contribuito ad una crescita economica media di oltre 6 punti percentuali l'anno, ad un tasso di sviluppo pari al doppio della media nazionale, alla riduzione di una disoccupazione che pesa decisamente più della media britannica (5% contro il 2%): è quello del movimento beat , generato dall'ascesa dei Beatles da Liverpool all'olimpo musicale internazionale, dell'icona dei quattro baronetti che ancora oggi è meta di pellegrinaggio e oggetto di analisi, studi, valutazioni, letteratura, cultura appunto.

Non è un caso che, il I giugno scorso, l' Anfield Road Stadium sia tornato teatro delle note dei Beatles, con uno show celebrativo di Paul Mc Cartney , capostipite di quell'icona dopo la tragica scomparsa di John Lennon con cui ne divideva il forte timbro d'identità ed al quale Liverpool ha intitolato il proprio aeroporto. Non posso non aggiungere George Harrison, anch'egli scomparso, e Ringo Starr. Con l'orgoglio dei natali ricevuti, Mc Cartney ha cantato Liverpool, inneggiato alla cultura di questa città, quale ispirato e ispiratore della medesima magica energia: Blackbird, In Liverpool (ovviamente), Something, Penny Lane, Let It Be, Hey Jude, Yesterday, evitando di citare l'intera setlist, e 35mila persone davanti ad una lezione “di spirito”, perché non è mai detta l'ultima, perché ci si può sempre rialzare, fino a fare meglio, fino ad esser d'esempio, il rinnovato messaggio di Liverpool affidato alle note di Mc Cartney.

Dunque Liverpool ha scelto la cultura per innovare la strategia di contrasto del declino economico seguito alla deindustrializzazione degli anni '70 e '80 e accompagnare lo sviluppo presente e futuro. Che tale modello si manifesti attraverso Let It Be o Hey Jude, oppure con i numerosi, esclusa Londra i più numerosi dell'intero Regno Unito, musei e gallerie d'arte, poco conta: è il modello che attrae, una sfida nella sfida, puntare a quello sviluppo cui la società ambisce e del quale troppo spesso diverse amministrazioni riempiono il piano della carta, solo quello, senza far seguire gli atti concreti, lo sviluppo che non fa male, che non tocca biodiversità e stagioni, ambiente e territorio ed anzi a questa cornice conferisce l'anima e alimentandola di ricchezza vera.

Non è sfida facile, ai servizi, per lo più finanziari, assicurativi e legali che hanno caratterizzato la riconversione post industriale di altre città britanniche, Liverpool contrappone la massima valorizzazione dei “luoghi dei Beatles”, a partire dal The Cavern, il locale da dove partirono e meta ambita di numerose band concentrate su una possibile emersione, e ancora la Walker Art Gallery , la Sudley House , culle della pittura pre preraffaellita, il Tate Liverpool, che per l'arte moderna non ha rivali in tutta la Northside inglese. E sul nuovo modello culturale si evolvono la University of Liverpool e la John Moores University , così come nella città di Lennon e Mc Carney non poteva mancare il centro di studi d'arte e spettacolo, il Liverpool Institute of Performing Arts.

E poi gli eventi, quelli fissi: la Biennale d'arte contemporanea, i concerti della Royal Liverpool Philharmonic Orchestra e il teatro delle compagnie Everyman & Playhouse e Unity Theatre; quelli che in questo speciale anno non potevano mancare: Paul Mc Cartney, come detto, e gli MTV Europe Music Awards.

Il modello di sviluppo culturale di Liverpool e la sua icona per eccellenza, I Beatles, i testi la musica, recano in sé un messaggio chiave per il nostro tempo e, ancor di più nelle pressanti esigenze della prospettiva: a cominciare dall'icona, la musica come l'arte in genere, come la cultura intesa come il sapere che arricchisce interiormente, capace di mettere d'accordo ratio e cuore, di soddisfare esigenze sociali oltre che economiche, di trascinare il turismo visto da chi lo propone ma anche da chi ne beneficia, legittimano la dovuta considerazione per il tempo libero senza il quale ogni forma di sviluppo, prima o poi, raggiunge il proprio limite. Liverpool vi ha fondato la sua rinascita e il suo futuro e può essere degna fonte ispiratrice; la sua icona, i Beatles, è lì da quasi 50anni e ancora ispira la musica del terzo millennio.

Libero Romano

 
 

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