proposito del I° maggio.
di Gavino Deruda - 26/04/07

Il I° maggio è formalmente la festa dei lavoratori, tradizionalmente occasione di richiamo e di attenzione per le vitali esigenze di chi il lavoro l'ha perso o non ce l'ha mai avuto, opportunamente tra la festa e il dramma motivo di riflessione su come una moderna società civile potrebbe e dovrebbe “governare” gli equilibri tra il tempo occupato e quello libero.

Mi rendo conto, c'è innanzi tutto il dramma: le cose vanno meglio se è vero che a tutto il 2006 il nostro Paese ha fatto registrare il minimo storico del 6,8% di disoccupati e, contestualmente una buona tendenza nella crescita dell'occupazione, ma nelle maglie di questi dati sappiamo bene come si annidino aspettative ancora insoddisfatte, interrogativi senza risposta, instabilità e insicurezze.

Per i dati ancora negativi, ma anche e soprattutto per quanto si annida dietro quelli positivi resta di assoluta necessità l'azione di pressione e tutela del sindacato rispetto al rischio sempre presente di una deriva sociale in cui il baratro che divide la ricchezza, poca, dagli stenti, troppi e troppo spesso insostenibili, tende ad allargarsi diminuendo evidentemente le possibilità di saltare dagli ultimi alla prima. Molti, moltissimi, si accontenterebbero di molto meno dell'accesso alla ristretta cerchia di ricchi, ma la tendenza al ribasso che caratterizza la vita del ceto medio mostra un preoccupante “effetto desertificazione” di una dignitosa via di mezzo.

L'ultimo rapporto UE sull'occupazione in Europa dice che il mercato del lavoro nel nostro Paese è fortemente condizionato da squilibri tra i territori, tra i sessi, dalla crescente flessibilità e irregolarità (lavoro nero o parzialmente contrattualizzato). Da qui, si ipotizza, la dissuasione, specie tra i più giovani, che potrebbe avere recato un contributo nebuloso nel calo percentuale della disoccupazione, rendendolo quindi non effettivamente e del tutto veritiero. Ovvero: il 6,8% potrebbe comprendere anche una quota, seppur minima, di “rassegnati” rispetto alla ricerca di occupazione.

Non che non si voglia vedere la metà piena del bicchiere, ma è nel DNA di un sindacato della responsabilità tenere alta l'attenzione sulla metà vuota e sui fenomeni di possibile resa nella società che, spesso, sono il preludio di scelte sbagliate di auto estromissione dalla comunità e dalla legalità.

C'è, poi, l'ampio e complesso mondo degli occupati, dove pure non mancano elementi di contrapposizione al vero progresso civile e sociale. La precarietà è, come detto, sottolineata dall'Unione Europea come aspetto caratterizzante del nostro mercato del lavoro e su un piano vicino alla disoccupazione si porta dietro tutta una serie di negative ricadute tra le quali la nascita zero o la tarda fuoriuscita dei giovani dal nucleo familiare d'origine e la diminuzione delle nuove famiglie, l'involuzione per molti versi del senso della famiglia.

Tutto concorre al deterioramento di una società che sempre meno riconosce valori e principi, riferimenti certi. Segue su questa direttrice, ahimè, il tempo libero, rispetto al quale occupati, aspiranti tali e “rassegnati” lottano meno. Molti sono gli italiani che rinunciano alle sue preziose ore al fine di reggere l'ordinaria corsa sfrenata della competitività o, peggio, tutelare la propria occupazione. Anche qui, la famiglia è tra i principali fattori oggetto di discapito. Il tempo libero inteso come elemento cardine di un modello di effettiva migliore qualità della vita è il sale del progresso, il termometro più attendibile di una società sana e incanalata nello sviluppo vero, quello che non conosce figli e figliastri, quello che abbraccia a 360°.

Il primo maggio può molto nell'ottica della sensibilizzazione. Quella della politica e dell'iniziativa a favore dello sviluppo vero dal quale possono emergere ed essere azzerati gli elementi di distorsione della precarietà e delle irregolarità, quella della società tutta, compresi i “rassegnati”. Perché il tempo libero che riceve attenzione anche da chi oggi “ne ha fin troppo” può contribuire a mantenere alto il livello di dignità di ogni confronto politico, economico, sociale, ispirato ad una prospettiva di tutti.

 

 

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