Consiglio Nazionale Fitel - Roma 14 dicembre 2005

Relazione del presidente Gavino Deruda

La prima riunione post congressuale del Consiglio Nazionale è naturalmente un punto di partenza. Meglio, la definirei ripartenza, ben conscio che questa non avviene “da zero”, ma può contare su un bagaglio d'esperienze e su un patrimonio propositivo e di iniziativa che, oltre ad essere doveroso da parte mia ricordare per il lavoro fatto dai colleghi che hanno lavorato in questi 12 anni, rappresenta senz'altro una adeguata leva per ciò che andremo ad ideare e determinare in questo mandato.

Questa presidenza può operare oggi su una base dove ragion d'essere e obiettivi dell'organizzazione sono stati consolidati dai riconoscimenti del ministero dell'interno, che ci qualifica e colloca nell'ambito dell'attività assistenziale, e del ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ci qualifica e colloca nell'ambito delle associazioni di promozione sociale.

Ed ora mi piace anche ricordare ( e comunicare a voi ) il riconoscimento avvenuto con provvedimento del 24 ottobre scorso quale Ente di Servizio Civile che pone tutti noi nelle condizioni di sviluppare e valorizzare il rapporto con i giovani.

Le integrazioni e le adesioni dentro la Fitel , dai grandi CRAL, quali Telecom, ARCA Enel, Ferrovie, Poste, alle federazioni dei CRAL dei trasporti pubblici, dei dipendenti pubblici a livello nazionale, regionale e comunale, degli istituti di credito e delle università, a quelli di media e piccola dimensione significano numeri ma soprattutto contenuti fondamentali per porci obiettivi importanti e operare con coraggio. Fitel, oggi, vuol dire oltre 800.000 soci e 1.000.000 di familiari e pensionati

Come primo passo, allora, per quello che desidero definire come un percorso che è espressione di continuità rispetto alla Fitel precongressuale, ritengo fondamentale impegnarsi a fondo per estendere la presenza ed il consolidamento della nostra organizzazione in tutto il territorio nazionale. E', questa, la via maestra, lo strumento imprenscindibile per dare seguito a qualsivoglia politica, a qualsiasi strategia e perseguire gli obiettivi che assieme ci siamo dati e man mano ci daremo.

E' questa la condizione propedeutica sempre, ma lo è ancora di più nel particolare scenario storico, politico, economico e sociale che stiamo attraversando qui da noi e ovunque.

Ciò che è evidente, tangibile, per ragioni diverse è il disorientamento sociale. Sul piano internazionale, i conflitti tra uomo e uomo e tra questo e la natura, stanno caratterizzando il nostro tempo portando al pettine nodi prevedibili e rispetto ai quali, proprio per la mancata opera di prevenzione, la natura umana ha evidenziato ancora una volta tutta la sua fragilità. Sono in atto conseguenze che, talvolta, lasciano perplessi di fronte alla consapevolezza della ragione quale elemento distintivo tra l'umanità ed il resto della vita sul nostro pianeta. E' già questo motivo di incertezza sul presente e sul futuro.

Al livello europeo, la sonante bocciatura della costituzione, solo artificiosamente limitata dall'elusione del pronunciamento popolare in materia in alcuni paesi, è un chiaro segnale di una conduzione dell'integrazione e della coesione europea troppo lontana dalla gente e troppo limitata alla cura degli aspetti burocratico amministrativi. Non c'è dubbio che un processo di integrazione come quello europeo, finalizzato ad aggregare storie, culture, tradizioni e, non ultime, economie, fortemente dissimili, implichi una ferma gestione finanziaria, ma quando questa diviene il focus o, comunque, vasto assorbimento di idee, intuizioni, risorse, energie, e per di più in un contesto in cui non esiste ancora di fatto un'entità politica, allora si crea l'inevitabile spaccatura tra i livelli decisionali e i livelli gestionali, fra l'Europa delle banche e dei banchieri e la società civile.

L'Europa ha bisogno di nuove politiche, di nuove iniziative, di attenzione particolare per il futuro e lo sviluppo, per capire quale futuro e quale sviluppo si vuole costruire, ma non per questo, deve rischiare profonde lacerazioni sociali sull'altare dei vincoli di bilancio o rinunciare a quei pochi zoccoli duri che dai tempi dei padri fondatori ad oggi hanno accompagnato il cammino dell'Europa unita.

Anche sulla spinta di una guida che vuole riconfermare tutta la propria autorevolezza, come quella della presidenza di turno britannica, il negoziato sulle prospettive finanziarie dell'Unione rischia di prendere la via della determinazione di un nuovo Mezzogiorno ad est, prima ancora che sia stata completata l'opera di aggancio allo sviluppo nel Mezzogiorno d'Italia e negli altri Mezzogiorni dell'area mediterranea.

L'architrave della politica agricola comune, che seppure necessita di adeguato allineamento agli standard internazionali e di promozione economica dei Paesi in Via di Sviluppo, rischia di sparire sotto una teoria, ancora celata, che vede meglio l'import alla produzione, il trapianto di modelli alimentari che non ci sono mai appartenuti al posto delle tradizioni, delle culture, dei valori insiti nel modello alimentare italiano ed europeo.

In tutto questo c'è tanto del processo di globalizzazione non più all'orizzonte, ma già presente in diversi aspetti ordinari della nostra vita, che non ha ancora trovato, spinto com'è a monte da grandi interessi economici e commerciali, un'adeguata governance. E' una globalizzazione senza regole, una globalizzazione fondata nella sua interezza sul commercio, per nulla sulla società, le sue esigenze, le sue istanze, una globalizzazione strumento dell'ipocrisia di chi vuole additarla come la panacea del sottosviluppo e dei paesi poveri. Servono, invece, regole, governo, umanizzazione, vicinanza, non solo in merito all'offerta commerciale.

Le vicissitudini europee, la globalizzazione, altri motivi di smarrimento.

Purtroppo i sistemi di interconnessione dai quali tutto discende, a livello internazionale ed europeo, non permettono isole felici. Purtroppo la realtà che abbiamo davanti non può certo qualificare il nostro Paese come un' isola felice. Tutt'altro. Viviamo criticità che non hanno precedenti almeno negli ultimi 25 anni. Mentre le politiche di contenimento della spesa precedenti l'ingresso nell'area dell'euro e l'avvio della moneta unica aveva questi nobili fini, oggi le stesse politiche hanno il limite della misura tampone, della strenua e direi strutturale rincorsa, senza che al loro fianco s'intraveda minimamente una qualsivoglia iniziativa tendente allo sviluppo, oltre l'emergenza, oltre la visuale stretta, schiacciata, cupa.

Non è tutta farina del sacco dei nostri governi. I vincoli amministrativi imposti dall'Unione Europea hanno senilmente ridotto i margini di manovra dell'intervento pubblico nazionale e delle relative possibili iniziative politiche. Ma è anche vero che questo Paese non vede luce oltre il limitato raggio del cosiddetto “tirare a campare” da ormai troppi anni. Il quadro economico è depresso, statico, il made in Italy retrocede su tutti i fronti o quasi, impera l'egoismo, nella società è sempre più evidente il confine tra redditi e segmenti sociali alti e altissimi e tutto il resto, dove la fascia della povertà amplia la propria soglia con l'ingresso di nuove e crescenti figure, molte delle quali anche professionali.

E' rispetto a tutto ciò che la nostra organizzazione può e deve trovare la giusta collocazione, il ruolo, gli obiettivi, le strategie. E rispetto a tutto ciò, al conseguente scoramento che permea, influenza e frena la società che la Fitel può trovare spazi importanti per sviluppare la propria azione. E' nostro intento riaffermare il nostro ruolo di sostegno e spinta alla partecipazione culturale, artistica, sportiva, solidale – così come abbiamo rinnovato nel documento finale del Congresso – di organismi di base, dei CRAL, dei circoli e delle associazioni del tempo libero. Il diffondere di tali organismi, la partecipazione dei lavoratori, della società in modo trasversale e diffuso è – dicevamo e ribadiamo – garanzia di avanzamento culturale e ricchezza individuale e per il sistema Paese nella sua interezza. Aggiungo oggi: è l'alimentazione primaria, essenziale, della fiamma della speranza di cui oggi si avverte estrema necessità e, oltre, la migliore risposta per costruire la prospettiva equa e non subire passivamente gli eventi dettati e ad uso e consumo di qualsiasi oligopolio. Dal sentire comune alla partecipazione diffusa per superare la sfiducia, la esclusione, la discriminazione sociale.

Il tempo libero come risorsa, dunque, in un preciso momento in cui confusione e incertezza dominano l'animo sociale prevaricandone le aspettative. Impegno nel tempo libero come collante sociale e come leva per orientare il futuro e la crescita sostenibile. Il tempo libero quale parte integrante delle politiche di welfare. Su tutto questo occorre consolidare – ed è un altro passo che, in piena sintonia con le determinazioni del Congresso Fitel, occorre fare a tutti i livelli – il confronto con le confederazioni e con le federazioni per affinare il nostro ruolo e proporci attivamente dentro il Forum del terzo settore e negli altri organismi di rappresentanza di interessi specifici a livello nazionale e internazionale ( vedi Fitus, vedi Bits).

Il confronto va stimolato, sollecitato e sviluppato negli atti conseguenti anche sul fronte delle relazioni istituzionali. L'attuale Governo ci ha appena proposto una finanziaria per il 2006 che, con una valutazione evidentemente superficiale e semplicistica, ignora le promesse e traduce nel taglio di 9 milioni di euro al finanziamento dell'Enit la proposta per il settore turistico o nei tagli al Fus ( fondo unitario per lo spettacolo ) la politica a favore del teatro.

Per queste ragioni e per tutte le altre sostenute dalle Confederazioni abbiamo partecipato convintamene allo sciopero nazionale del 25 novembre scorso.

Ma la valutazione che il Governo fa della risorsa turismo ha altri esempi lampanti: il Comitato nazionale per il turismo insediatosi ai primi di novembre, per citarne uno soltanto, non contempla la rappresentanza della domanda, bensì solo dell'offerta, evidenziando grandi lacune sull'iniziativa di ampio respiro e il puro palliativo appannaggio dell'imprenditoria che organizza l'offerta nel più classico carattere corporativistico.

Ma il turismo è un'inestimabile potenziale risorsa del Paese ( basta ricordare che contribuisce con oltre il 5% alla formazione del prodotto interno lordo e che dà occupazione a oltre 2,3 milioni di addetti- il 9,4% dell'occupazione totale- ) e come tale andrebbe vista e collocata all'interno di una politica organica, ancora assente, in grado di rivitalizzare il sistema, ivi compreso l'indotto che ne deriva, fino a rinnovare, per dirla con un eufemismo, la “sacralità dell'ospite”. Si perché, se da una parte è giusto imputare all'intervento pubblico, alle politiche di governo, la regressione del movimento turistico nazionale, da un'altra è opportuna un'approfondita analisi ed un'autocritica anche sull'organizzazione e la gestione dell'offerta nel settore.

Il turismo poggia e si sviluppa, infatti, sulle risorse naturali, territoriali, ambientali, paesaggistiche, alimentari, sul patrimonio storico, artistico e culturale, ma anche e soprattutto, ed in modo crescente nel tempo che stiamo vivendo, sui servizi e sui rapporti umani, quelli che spesso costituiscono una vera e propria priorità nelle valutazioni della domanda e, altresì, rappresentano l'elemento fondamentale per lasciare traccia e veicolare così l'offerta fuori dalla portata locale. Un po' quello che costituisce un importante impegno, su grande scala e con i dovuti termini di paragone per l'alta cassa di risonanza che produce, per ogni visita all'estero del Presidente Ciampi e per il quale tutta l'imprenditoria italiana deve profonda gratitudine. Le parole di Ciampi, sul “fare sistema”, sul ribasso dei prezzi, sull'ottimismo, sul comune sentire e comune intento, sono assolutamente condivisibili e servono da grande sprono e incoraggiamento anche nel settore turistico. Tanto più, allora, occorre una severa disanima, un approfondimento analitico delle ragioni della crisi nella consapevolezza che servono prezzi più contenuti, ma anche una forte, sistematica azione per rilanciare l'immagine dell'Italia che facciano leva sulla qualità e sulla certezza delle offerte e sulla correttezza e serietà nei rapporti.

C'è da fare, dunque, e noi per primi dobbiamo tradurre questa consapevolezza in linee politiche ed atti concreti.

Alcuni filoni ci sono chiari, nascono da analisi condivise e da esperienze consolidate:

• penso ad una rivisitazione del modello di intervento pubblico destinato ai campo di nostra pertinenza ed all'attività sociale, in genere, per il tempo libero, fondata sull'accezione che cultura, arte, sport, turismo, spettacolo, svago, attività ricreative, l'intera comprensione del tempo libero rispondono ad interessi che attraversano trasversalmente la società e l'economia del Paese;

• penso ad una conferenza nazionale del tempo libero come momento si di immagine, ma anche di pragmatismo per addivenire a linee politiche per la programmazione dello sviluppo nei settori integrati nel tempo libero;

• penso ad un nuovo riconoscimento per la nostra organizzazione in quanto soggetto attivo per contribuire alla lotta contro la povertà, l'emarginazione, l'esclusione sul fronte interno ed estero, con particolare riguardo ai drammi del continente africano ( credo che le nostre variegate attività sul piano culturale, artistico, sportivo, turistico siano in grado di mobilitare risorse e immagini positive a tal fine)

• penso ad un impegno politico per la defiscalizzazione delle attività sociali per il tempo libero, che è elemento cardine del documento finale del nostro ultimo Congresso;

• penso all'allargamento dell'area del consenso e della partecipazione in tutti i Cral presenti nel territorio nazionale e sovente scoordinati fra di loro;

• penso all'affinamento ed alla migliore finalizzazione del sistema dei servizi, affinché siano sempre più aderenti alle esigenze , alle attese e alle richieste dei circoli e dei singoli soci;

• penso alla forza della formazione e dell'aggiornamento del gruppo dirigente e degli operatori per consolidare la conoscenza, il sapere, l' informazione e la socializzazione all'interno e all'esterno;

• penso, ancora, al fare rete o porci in una ottica di sistema per acquisire peso negoziale con gli interlocutori pubblici o privati, per garantire servizi e prodotti di qualità a prezzi sempre più convenienti e competitivi ai nostri associati.

Non ho la pretesa di inventare niente. Ho solo la convinzione di dover ricordare che tutto ciò rappresenta l'insieme degli scopi, degli obiettivi e anche dei principi che con molta lungimiranza volle affermare il legislatore nel lontano 1970 approvando l'articolo 11 della legge n. 70 e che oggi alcuni ambienti, pervasi da sacro furore restauratore, vorrebbero mettere in discussione.

Oggi abbiamo alcune cose urgenti da definire per riprendere il nostro lavoro.

Mi riferisco in particolare:

• all'approvazione delle norme sul tesseramento e del bilancio preventivo 2006;

• alle opportunità di carattere politico e organizzativo, formativo, informativo e informatizzativo derivanti dai progetti di cui alla legge 383/2000. ( Trovo a riguardo prioritario attivare rapidamente il sito, completare celermente la rete intranet, collegare tutto il gruppo dirigente per posta elettronica sicchè le nostre notizie e informazioni corrano e circolino senza barriere ricordando sempre il celebre detto: il primo potere è il sapere.

• alle potenzialità nuove che ci vengono messe a disposizione dal sistema del servizio civile;

• alle iniziative da sviluppare se vogliamo ottenere il riconoscimento come associazione di promozione sportiva a livello nazionale;

• all'avvio di una discussione approfondita e articolata circa le possibilità da parte dei Cral coordinati fra loro di attivare veri e propri gruppi di acquisto per beni e servizi destinati alle esigenze familiari. Penso ovviamente ad alcuni comparti dove esiste già una tradizione con gli spacci ma anche ad altre produzioni di nicchia e di alta qualità come quelli agro-alimentari ( vini, oli, formaggi, etc. ) di semplice trasporto e di facile e lunga conservazione. Su tutti questi saremmo già in grado, se lo volessimo, di stipulare convenzioni dirette con le aziende produttrici con i vantaggi che credo sia facile immaginare.

In seguito affronteremo le altre tematiche organizzative e politiche nella comune convinzione, io penso, che se sappiamo organizzarci abbiamo tutte le caratteristiche e tutti i numeri per divenire una organizzazione che conta davvero e potrà dire la sua nel panorama politico e sociale del nostro paese.

 
 

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