Intervista a  Michele Tartaglione, Servizio  contrattazione privata, politiche settoriali, rappresentanza e rappresentatività - UIL Nazionale
 
Il welfare aziendale è un tema che inizia ad occupare un posto importante nei tavoli di confronto. Esso interessa ancora una parte limitata del mondo del lavoro e non sempre è il risultato della  contrattazione.
Qual’è la strategia sindacale per il prossimo futuro?

 
È da diversi anni ormai che le misure di welfare aziendale sono entrate a pieno titolo nella contrattazione di secondo livello. Si potrebbe sostenere che l’incontro, o meglio, l’incrocio tra dinamiche salariali e prestazioni di welfare faccia in qualche modo parte del Dna del sistema sindacale italiano. La tutela del lavoratore, in altri termini, è concepita sia all’interno dell’ azienda (premio per obiettivi, orari di lavoro, diritti sindacali) ma anche come sostegno alla “vita” di quel lavoratore, come accompagnamento e soddisfacimento di quei bisogni che la persona ha anche al di fuori dell’orario lavorativo.
 
Da qui, Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto molti accordi che hanno permesso a centinaia di migliaia di lavoratori di usufruire, solo per citare alcune di queste prestazioni, di asili nido aziendali, mense (interne o attraverso ticket), borse di studio, colonie estive e misure per la genitorialità.
La diffusione di queste prestazioni è legata, però, a stretto giro a quella della contrattazione di secondo livello. La quale in Italia si svolge solo nel 25/30% delle aziende.
Questo è un problema strutturale.
 
La Uil ha già sostenuto più volte che c’è bisogno di un allargamento di queste pratiche non solo quantitativo, ma anche qualitativo. Il secondo livello deve diventare un elemento di redistribuzione della redditività che si sviluppa “in azienda” e allo stesso modo il luogo in cui si possono meglio declinare le esigenze di conciliazione di vita e di lavoro dei dipendenti.
 
È altrettanto vero, però, che ci sono situazioni in cui le prestazioni di welfare vengono erogate senza che ci sia una contrattazione sindacale. Ma in questi casi, più che di welfare bisognerebbe parlare di concessioni unilaterali dell’azienda. La contrattazione tra le Parti, invece, ha il compito di individuare le giuste proporzioni tra il salario reale e le prestazioni di welfare.
 
Laddove non c’è il dialogo con il sindacato può accadere che ai lavoratori vengano corrisposte prestazioni di welfare che sostituiscono in modo inappropriato quote di salario.
Inoltre, la Uil è convinta che il welfare aziendale deve essere integrativo rispetto al c.d. welfare state e non può, quindi, sostituirsi ad esso.
Il sindacato, quindi, è, e deve essere, in ultima analisi un elemento di garanzia per i lavoratori.
 
La strategia per il prossimo futuro non può non essere che quella che si prefigge l’obiettivo, come dicevamo, di diffondere la contrattazione di secondo livello, tenendo comunque fermo il ruolo e il valore del contratto nazionale di lavoro.
La Uil è pronta a perseguire questa traccia con tutte le proprie energie e i propri mezzi.
 
Un aspetto importante del welfare aziendale è la politica del tempo libero. La FITeL da più di venti anni è impegnata a promuovere attività di promozione culturale e sociale dei lavoratori avendo come base associativa i CRAL e come riferimento valoriale l’articolo 11 dello Statuto dei diritti dei lavoratori.
Quale peso deve avere la politica del tempo libero all’interno del welfare aziendale?
 

È importante, come dicevamo, tutelare i lavoratori nei loro vari bisogni. Accompagnarli nella loro vita lavorativa, dentro e fuori dai posti di lavoro. La Uil, non a caso, è il “sindacato dei cittadini”.
Se questo è vero, come è. Allora è importante vedere il dipendente non solo come un lavoratore sic et simpliciter ma anche come una “persona” che dispiega la propria vita in diverse fasi, potremmo dire, per sommi capi: azienda, famiglia e tempo libero. Se alla prima deve corrispondere una adeguata contrattazione nazionale e aziendale, alla seconda tutto ciò che riguarda la conciliazioni dei tempi di vita e di lavoro, allora c’è bisogno anche di fornire validi ausili affinché si possa trascorrere al meglio il proprio “tempo libero”.
 
In una società in cui sempre più al rapporto diretto si è sostituito quello digitale attraverso i c.d. “social media”, sembra essersi perso il “contenuto” stesso della comunicazione ciò che rende cogente il discorso perché rivolto ad un altro, un “diverso”, verso il quale indirizzare un proprio pensiero. Nell’utilizzo crescente di queste forme di comunicazione è proprio la dimensione dell’”altro” che si perde. Le informazioni, anche personali, sono divulgate senza sapere e senza conoscere chi le recepirà. Questo porta a instaurare rapporti a volte evanescenti che non costituiscono fattore di crescita per nessuno degli attori coinvolti. Occuparsi del tempo libero, allora, creare situazioni nelle quali le persone possono stare insieme, scambiarsi opinioni e trascorrere piacevolmente qualche ora della propria giornata non può che essere un fattore che va  coltivato  e  incrementato.  Anche recependolo in misure di welfare aziendale.
 
I CRAL svolgono un ruolo insostituibile nella programmazione e nella gestione di iniziative ricreative e di promozione culturale dei lavoratori, arricchendo il capitale umano dell’azienda e del territorio.
La crisi degli ultimi anni e la necessità di definire nuovi criteri di partecipazione dei lavoratori alla programmazione delle loro attività hanno appannato in alcuni casi il ruolo sociale di queste strutture democratiche.
Come rilanciare e riformare la funzione dei CRAL nella contrattazione nazionale e di secondo livello?

 
La crisi che coinvolge da anni il nostro Paese ha sicuramente causato un indebolimento delle attenzioni che le aziende e gli stessi lavoratori danno, e possono dare, alla programmazione del proprio tempo libero. Ma, come dicevamo, la messa in campo di attività volte alla cura della persona, in senso lato, anche al di fuori dei luoghi di lavoro è un elemento importante che merita una accurata riflessione.
Per rilanciare questi istituti occorre, come vale del resto anche per la stessa contrattazione di secondo livello, ritornare tra le persone, tra i lavoratori. Perché i modelli e le pratiche si possono modificare se c’è alla base un cambiamento di prospettiva che non può che essere anche culturale. Ascoltare i bisogni e le necessità dei lavoratori è il primo passo. Capire di cosa hanno bisogno e come soddisfarli il secondo. Il terzo è trasportare queste esigenze nella contrattazione sia nazionale che di secondo livello.
 
La Legge di stabilità per il 2016 trattando dei regimi fiscali dei premi di produttività prevede che i benefici devono essere erogati in esecuzione dei contratti di aziendali e territoriali.
Questa norma rilancia il ruolo contrattuale del sindacato nazionale e aziendale nella determinazione delle politiche di welfare nei luoghi di lavoro?

 
La Uil ha già espresso un parere positivo su questa previsione contenuta nella legge di stabilità. Crediamo che essa possa, più che rilanciare, confermare quanto fino ad ora è stato fatto da Cgil, Cisl e Uil e concedere ulteriori spazi di manovra al fine di dare le giuste risposte ai bisogni dei lavoratori.
Abbiamo già detto che questi ambiti sono propri della contrattazione, della libera e autonoma negoziazione tra le parti, e quindi non possiamo che registrare con favore che il legislatore abbia confermato che tali agevolazioni sono subordinate alla stipula di contratti di secondo livello, sia aziendali che territoriali. L’Iter della legge di stabilità non si è ancora concluso.
La Uil vigilerà affinché tale previsione non subisca modifiche. D’altra parte lo stesso testo rimanda a un successivo decreto interministeriale che dovrà fare luce sulle modalità operative di quanto solo tratteggiato nell’articolo 12 di questa legge. Abbiamo già chiesto che questo decreto sia concordato con le parti sociali. Da lì potremmo poi compiutamente definire tutti i percorsi che potranno essere intrapresi per aumentare la diffusione della contrattazione di secondo livello nel nostro Paese e, di conseguenza, anche delle misure di welfare.
 

 

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