L'ALTRA META' DEL CIELO - Poesie d'amore ( di Rodolfo Carelli )
Ci è stato segnalato un bel libro di poesie che riteniamo opportuno riproporre nel nostro sito in prossimità delle ferie estive, intese anche come opportunità per una lettura piacevole e distensiva che consenta di staccare per un po' dalla vita frenetica a cui siamo sottoposti tutti i giorni cosidetti normali.
 
Per gentile concessione dell'autore riportiamo qui di seguito la prefazione del professor Rino Caputo - 24-07-2007
 
Prefazione
Questo libro di Rodolfo Carelli è un canzoniere. Perché contiene poesie d'amore. Ma non solo.
 
Da Petrarca in poi, il canzoniere è la forma della poesia d'amore. Le poesie sono microcosmi, talora autosufficienti talora aperti, ma tutti inseriti nel macrocosmo che è il libro d'amore. Carelli ha raccolto le (sue) poesie d'amore e ne ha fatto, appunto, un suo (suo) libro.
 
Ma come racconta l'amore il (significativo e conclamato) poeta che è Rodolfo Carelli?
 
Nel libro, la narrazione si fa attraverso la rappresentazione, la descrizione della (mutevole) fenomenologia degli stati amorosi. Ma il poeta emerge con atmosfere ed espressioni singolarmente nuove, non (tutte) riconducibili alla sua precedente e riconosciuta poesia.
 
Già il primo componimento, di esplicito valore poemiale, impone la coesistenza delle immagini col “ragionar d'amore”, la modalità scelta da Carelli per salvaguardare il suo ancoraggio alla tradizione illustre e, insieme, la sua propensione alla centralità, tutta novecentesca, dell'immagine:
 
Il primo amore fu/ quello non detto/ quello che rimase/ alla finestra degli occhi/ a spiare ogni passo/ che trattenne il respiro/ e temé di inghiottire/ per non fare rumore/ che se avesse potuto/ avrebbe fermato anche il cuore.
 
Così avviene in Lentamente , come in Parlarti, dove prevale l'argomentazione discorsiva, e in Singolare privilegio, o in Per un tuo umore e nelle composizioni contigue, nelle quali è al centro l'immagine, mentre Quante volte intreccia ragioni ed emozioni d'amore, pensiero e parola:
 
Quante volte/ un core trafitto/ tiene avvinta la lama. Non solo per amore/ più spesso per timore/ che colpisca ancora.
 
Dappertutto il canzoniere rievoca, per memoria poetica, le forme illustri. Ora per impulso anaforico come in Così lungo a morire; ora per collegamento fonosemantico come il “brunito” di Da brunito che era, il sole , ripreso all'inizio del componimento immediatamente successivo Riaffiora il nitore (“Riaffiora il nitore/ dall'oro brunito/ delle tue membra”).
 
Ma l'allusione costante è al mondo delle immagini e alla grammatica amorosa della vita (storica e artistico-intellettuale) di Carelli: come in Piazza di Monte citorio, dove la “Sera serena struggente” permette al cupido osservatore, precedentemente impegnato in, probabilmente “maschie”, tenzoni politico-parlamentari, di concentrare il desiderio nelle immagini, ambedue femminili, del “giunco” delle “gambe” e della “falce di luna”; come in O dea imbronciata al mattino (“in attesa della metropolitana”); oppure come nelle riprese, crescenti nella parte finale del libro, dei modi stilistici novecenteschi, dalla terrestrità luziana de Il tuo squillo a Montale ( Cambio l'acqua) e a Caproni (come in Amo te solo dici, Del mio tizzo ardente e Povera mia poesia).
 
Già in passato, per tutta la sua ormai prolungata attività poetica, nelle inquadrature bozzettistiche “pontine” (qui riprese in Dalla grigioazzurra balaustra dei Lepini) come nelle impegnative ascese “religiose”, (richiamate, petrarchescamente, nella chiusa di questo libro), Carelli è riuscito a conciliare l'esperienza dell'uomo con le tecniche del poeta. Anche in questo canzoniere non viene meno l'istanza metalinguistica, la necessità di giustificare il prodotto della poesia con le ragioni della poesia. Si pensi a Lascia che ogni tanto (“Lascia che ogni tanto/un rigo registri in te/ la mia vicinanza”); all'ammissione pensosamente ironica, nel ritmo impresso dall'haiku, di Al chiodo fisso:
 
Al chiodo fisso/ del tuo rifiuto/ ho sospeso la cetra. Se ancora geme/ dà la colpa al vento.
e di Cambio l'acqua:
 
Cambio l'acqua/ ogni giorno/ per rinverdire/ pensieri e desideri. Ai nuovi faccio spazio/ rinserrando le file. Tu sei di un'altra razza/ cambi l'acqua e i fiori.
 
e all'allegra resa alle immagini apprese dai poeti che permettono al poeta di cantare, piuttosto che dire, che la poesia “gli fa compagnia”:
 
Non c'è verso/ mormora il poeta spazientito/ al suo ennesimo ritardo. Non c'è verso/ che sia puntuale/ ad un solo appuntamento/ eppure lei lo sa/ che l'amore in città/ è come un passero/ ha briciole di tempo. Non c'è verso/ ma non è poi tanto vero/ se nel frattempo/ gli manda incontro la poesia/ che gli fa compagnia.
 
Il canzoniere d'amore esalta in misura concentrata e, insieme, estesa, la cifra più consueta della poesia di Carelli, rintracciabile soprattutto nella capacità di dare senso col suono leggero o, come si sarebbe detto in altri tempi, dolce e soave, del verso e dei sintagmi verbali (Ti lascio ogni volta e, ancora, Povera mia poesia). I singoli componimenti articolano tale movimento, ora in euforia ora in disforia, ora per tratteggiare la fenomenologia dell'amore passione – e qui il poeta raggiunge livelli di intensità, forse, inattesi – ora per descrivere la più pacificata felicità familiare, come in Lascia stare per una volta (Lascia stare per una volta/ di sparecchiare e lavare/ per riassettare all'istante/ e vieni con me in giardino/…”).
 
Carelli sa che l'amore, per essere raccontato, va indirizzato a chi è in grado di intenderlo. Noi Lettori, probabilmente. La Donna amata, anche al plurale, sperabilmente. Ma l'Amore in quanto tale, infine, e certamente! È perciò che la chiusa palinodica, cavalcantiana e caproniana, di Povera mia poesia, che è tra gli ultimi microtesti del libro (“Ma questa è la mia sorte/ pagare il canto due volte”) precede la riassunzione esistenziale di Senza slanci si rischia (“Quando l'anima esplora/ la rassicura il contatto”), che introduce il finale salvifico di Se, in cui, come l'intera tradizione illustre afferma, da Dante a Ungaretti, amore e Amore si riconciliano, forse, in pace:
 
Se / me ne darà il tempo/ la Tua misericordia/ accadrà con te Signore/ come quando da ragazzo/ solo all'ultima sera di vacanza/ trovavo il coraggio a dichiararmi/ scoprendo che anche lei mi amava/ e da tempo come Tu dall'eterno.
 
La poesia può esistere e resistere perché solo con le sue parole esisterà e resisterà l'Amore.
 
Rino Caputo - Professore Ordinario di Letteratura Italiana nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma “Tor Vergata”
 
 

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